Precedenti penali, reddito insufficiente, mancanza di residenza, sono alcune delle cause ostative che impediscono a uno straniero di acquisire la cittadinanza italiana; per questo motivo molti si rivolgevano a un’organizzazione criminale, in grado di far “magicamente” sparire dalle pratiche, le “macchie nere” che impedivano l’avanzamento dell’iter amministrativo.
Durante l’indagine denominata “Codice K10” i poliziotti del Servizio polizia postale e delle comunicazioni, hanno arrestato sei persone ed eseguito 19 perquisizioni nei confronti di tutti gli indagati, interrompendo così l’attività di un gruppo criminale specializzato nella corruzione per il rilascio della cittadinanza italiana.
Complessivamente sette persone sono indagate per il reato di corruzione mentre 12 per favoreggiamento reale. Nel corso delle perquisizioni sono stati trovati e sequestrati circa 135mila euro in contanti, probabile provento delle attività illecite.
Nello specifico le persone coinvolte nell’indagine sono state denunciate in stato di libertà per i reati di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione, corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio, favoreggiamento, detenzione abusiva di codici di accesso a sistema informatico, accesso abusivo al sistema informatico Sicitt (Sistema informatizzato cittadinanza italiana) del Dipartimento libertà civili ed immigrazione del ministero dell’Interno, utilizzato per l’istruttoria relativa alle pratiche per la concessione della cittadinanza italiana a firma del presidente della Repubblica.
Le attività di analisi e verifica informatica sono state svolte dagli specialisti del Centro nazionale anticrimine informatico per la prevenzione delle infrastrutture critiche (Cnaipic), che hanno analizzato più di 1.500 pratiche sospette per l’ottenimento della cittadinanza italiana.
Tutto ruotava intorno alla figura del leader dell’organizzazione, un’assistente informatico dipendente del Dipartimento libertà civili ed immigrazione, che si era impadronita dei codici di accesso dei dirigenti.
In questo modo la dipendente del Ministero accedeva al sistema informatico gestionale delle procedure istruttorie, cancellando le cause ostative al proseguimento della pratica, determinando così la positiva conclusione dell’iter per la concessione, da parte del presidente della Repubblica, della cittadinanza italiana.
Il prezzo dell’intervento variava in base al livello del problema da sanare, e poteva anche superare i mille euro, che venivano ripartiti tra i membri dell’organizzazione.
Il gruppo si avvaleva dell’attività di alcuni procacciatori di clienti, tra i quali diversi titolari di agenzie per il disbrigo di pratiche e servizi per cittadini stranieri.
I contatti con la dipendente ministeriale avvenivano con la massima riservatezza, utilizzando sistemi di comunicazione cifrati e telefoni dedicati solo a quello.
Solo le intercettazioni ambientali hanno permesso di documentare il passaggio di denaro e di pratiche, individuate attraverso il codice K10, generato dal sistema Sicitt al momento dell’inserimento dell’istanza.
Nel periodo dell’indagine sono state accertate più di cento pratiche irregolarmente portate a termine e validate, per le quali è in corso di perfezionamento l’iter di revoca dello status giuridico di cittadino italiano.
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