“Cash River” è il nome dell’operazione con la quale i militari del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Bergamo stanno indagando su un’ingente frode fiscale che vede coinvolti diversi imprenditori e numerose società italiane ed estere. Nel corso delle indagini, nate da elementi acquisiti dalla squadra Mobile di Milano poi trasmessi per l’approfondimento alla Procura di Bergamo, i Finanzieri hanno tratto in arresto quattro soggetti, tre imprenditori residenti in provincia di Bergamo e Brescia, uno dei quali con precedenti specifici ed un avvocato ungherese.
Sono ritenuti i principali esponenti di un’associazione a delinquere, transnazionale, dedita all’emissione di fatture per operazioni inesistenti utilizzate da numerose imprese italiane per evadere il Fisco. Il provvedimento, a firma del Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Bergamo, Dottor Vito Di Vita, su richiesta del Sostituto Procuratore, dottor Nicola Preteroti, è stato adottato sulla base delle risultanze delle indagini condotte dal Nucleo di Polizia Economico Finanziaria di Bergamo.
I Finanzieri, attraverso intercettazioni telematiche, telefoniche ed ambientali, servizi di osservazione, pedinamenti, indagini finanziarie, l’approfondimento di segnalazioni per operazioni finanziarie sospette, incrociando gli elementi acquisiti con le informazioni presenti nelle banche dati in uso al Corpo, hanno smascherato un’organizzazione criminale promossa da quattro persone accusate di gestire una fitta rete di società cartiere, 21 per la sola annualità 2018, con sede dichiarata in Milano, Cagliari, Parma, Roma, Bergamo e all’estero, intestate a prestanome ed utilizzate al solo scopo di emettere fatture per operazioni inesistenti destinate ad aziende compiacenti del Nord Italia. Il “sistema criminale”, come lo ha definito il GIP nel suo provvedimento di arresto, è stato dettagliatamente ricostruito dai Finanzieri. Esso prevedeva il pagamento delle fatture false con bonifici che, dopo diversi passaggi, affluivano su conti correnti esteri intestati a società con sede nei Paesi dell’Est Europa, tutte riconducibili agli indagati.
Le illecite provviste così create principalmente in Croazia, Ungheria e Bulgaria venivano prelevate in contanti da corriere incaricati di trasportare il denaro in Italia nascosto in ingegnosi “doppi fondi” appositamente realizzati su autovetture in uso all’organizzazione. Il denaro veniva quindi restituito agli stessi clienti che avevano pagato le false fatture, al netto del 5%, ossia il prezzo pattuito per usufruire della frode. In questo modo, gli imprenditori che hanno utilizzato l’illecito meccanismo si sono potuti avvantaggiare doppiamente, da un lato evadendo le imposte, per effetto dell’annotazione in contabilità di costi inesistenti, dall’altro creandosi provviste di contanti in nero, ottenute con la restituzione del denaro versato alle società cartiere. L’ammontare della frode fiscale è stato quantificato ad oggi in oltre 16 milioni di euro, ma il dato è parziale in quanto le indagini sono in corso.
Fondamentale per l’organizzazione è risultato il ruolo svolto da un professionista ungherese, che in virtù delle proprie competenze in materia economico giuridica si è adoperato per la costituzione delle società estere e l’apertura dei conti correnti. Nel corso delle perquisizioni, oltre diciannove tra Lombardia, Emilia Romagna, Sardegna e Lazio, i Finanzieri hanno rinvenuto numerosa documentazione contabile ed extracontabile attualmente al vaglio degli inquirenti, nonché oltre 105 carte bancomat estere. Nei giorni scorsi sono stati anche sequestrati conti correnti in Ungheria su richiesta del Pubblico Ministero titolare del fascicolo d’indagine, attraverso l’attivazione di EUROJUST. I sigilli dei Finanzieri sono scattati inoltre su autovetture, disponibilità finanziarie orologi e preziosi, per un valore complessivo stimato in oltre 350 mila euro. A tre degli arrestati, un trentasettenne originario della provincia di Salerno, una quaratatreenne milanese e un trentenne Bergamasco, dopo le prime parziali ammissioni, il GIP ha concesso gli arresti domiciliari. Il professionista ungherese invece è tutt’ora detenuto presso il carcere di Bergamo.
Ai principali artefici del sodalizio la Procura ha contestato l’aggravante della transnazionalità, avendo gli indagati costituito un gruppo criminale organizzato per commettere reati in uno Stato, ma con una parte sostanziale della sua preparazione, pianificazione e esecuzione in altro Stato estero.
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