Si è conclusa a Varese un’operazione che ha portato in carcere quattro persone specializzate nella cosiddetta truffa “Reap Deal”.
Il raggiro veniva messo in atto dai quattro che, insieme ad altri complici, al momento irreperibili, truffavano i commercianti di metalli preziosi e gioielli.
Lo schema richiedeva una complessa preparazione ma era in sostanza molto semplice: l’organizzazione individuava, anche all’estero, le vittime con cui concludeva piccoli affari, acquistando quantità modeste di preziosi e oro, pagando regolarmente senza però passare per dogane e agenzie fiscali. Il guadagno, all’inizio, era reciproco; soldi in nero per preziosi da rivendere a costi più bassi.
Dopo una serie di “assaggi”, che potevano durare anche diversi anni, scattava la truffa vera: la banda, utilizzando alberghi lussuosi o ristoranti rinomati, invitava la vittima a concludere un affare più grande; taxi, permanenze in hotel e pranzi venivano offerti dall’organizzazione con l’aiuto di assistenti educati e conoscitori delle lingue. Abiti firmati e modi eleganti e disinvolti facevano il resto convincendo le vittime sull’affidabilità degli interlocutori.
All’incontro il venditore si presentava con preziosi del valore di centinaia di migliaia di euro e la banda mostrava il denaro chiuso in una valigetta.
Dopo i convenevoli, la valigetta veniva riposta in un mobile posizionato sul posto dai truffatori. Il mobile però era molto particolare perché era stato costruito per poter nascondere una donna della banda dal fisico minuto che al momento opportuno sostituiva la valigetta dei soldi veri con una identica piena di soldi falsi, senza essere vista.
Avvenuto lo scambio la vittima veniva congedata molto rapidamente allontanandola dal luogo dello scambio.
In una conversazione documentata dai poliziotti, due della banda si vantano di avere pesantemente truffato le loro vittime anche dopo quattro anni di contatti costellati di “assaggi” andati a buon fine.
In altri casi dalle indagini gli agenti hanno scoperto truffe con un ingente affare di cambio valuta in euro, sfruttando l’imbarazzato silenzio delle vittime, garantito dall’inopportunità di sporgere denuncia per il timore di incorrere in guai fiscali in Italia o in madrepatria.
Un altro modo utilizzato dai truffatori per i loro guadagni illeciti consisteva nel far accomodare le vittime, con varie scuse, sui sedili posteriori di auto alle quali a loro insaputa erano state bloccate le sicure degli sportelli in modo che, nel momento che esibivano la merce in vendita, se ne appropriavano e si davano alla fuga, mentre le vittime faticavano non poco ad uscire dall’autovettura.
Il gruppo, con basi operative a Gallarate, era costituito da dieci persone con ruoli diversi.
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