Riflessione.
"Io non sono nessuno per dirvi cosa dovete fare in fase 2. Non ho un comitato scientifico in casa. Solo la mia testa. Ma tante volte, anche se mai come in questi ultimi mesi, ho capito e tenuto sulle spalle il peso di avere un ruolo sociale delicato e importante. Con tante spine nel cuore perché raccontare storie di dolore, almeno per me (e chi mi conosce può dirlo), è terribile.
Quindi volevo chiedervi un aiuto che protegga la mia nonna di 89 anni, i vostri anziani, i genitori, i nostri bambini e tutti noi.
Soltanto io, più ovviamente tutti i miei colleghi, ho scritto centinaia di pezzi sul Covid. A volte mi prende lo sconforto perché, nonostante la fatica immane di esserci sempre (anche noi abbiamo famiglia e questo lavoro significa trascurare tutto) e di scrivere fiumi di parole per allertare, c'è ancora gente che mi chiama dicendo 'è tutta una invenzione'.
Vi assicuro, provato sulla mia pelle, che se potessi farvi riascoltare il dolore che ho sentito e assorbito parlando con chiunque, si ricrederebbero anche i più scettici. Mi riferisco a chiamate di persone che respiravano male e mi chiedevano aiuto, sperando che uscendo sui giornali qualcuno li avrebbe aiutati a curarsi, a gente che non trovava posto in ospedale e respiratori, a chi è finito nel girone infernale ed è rimasto giorni in un pronto soccorso lontano, su scomode barelle e senza cambi.
Ad altri disperati perché avevano parenti morenti in chissà quale struttura e non potevano sapere subito dove o come stavano, senza contare a chi non li ha più visti, nemmeno al cimitero e alla tragedia senza fine di chi è morto coccolato dai soli sanitari (a loro volta nel panico).
Credendo, forse, di essere stato abbandonato dai parenti o distrutto dal non poterli nemmeno salutare. Senza contare medici e infermieri contagiati, o esausti e sconsolati, alle prese con qualcosa di più grande di loro e che nemmeno sui libri è descritto.
A chi, tra questi ultimi, ha cercato di dare conforto, stringendo mani e facendo carezze ai malati terminali, a proprio rischio e pericolo. A chi, per proteggere la famiglia, non l'ha più vista e ha dormito settimane in un camper. Alla gioia del poter dimettere qualcuno che si è invece salvato.
Poi ricorderete il suono delle ambulanze. Incessante. Così come le segnalazioni di decessi. Perdite umane incalcolabili che, se non ci hanno toccati direttamente, hanno comunque distrutto famiglie intere e strappato ai territori figure portanti della sanità, del volontariato... O comuni mortali come me che avrebbero voluto vivere ancora.
Mio marito (e mio malgrado i nostri bambini) è stato silenzioso testimone di tutto questo mio sconforto e di tutto il mio mal celato finto coraggio. A volte ho avuto la forza di raccontargli cosa stavo scrivendo. Altre ha capito semplicemente ascoltando lunghe telefonate che spesso di giornalistico avevano poco, ma davano tanto, al di là e al di qua dello smartphone, a livello sociale.
Ho dato centinaia di abbracci virtuali, esausti ma sinceri, notte e giorno. C'era chi mi diceva 'prova a staccare' . Ma, se lo avessi fatto, non avrei avuto la coscienza a posto. E sono sicura che tanti colleghi hanno agito allo stesso modo. Senza pesare le ore di lavoro mai pagate. Preoccupandosi di cosa stava succedendo. Della nostra gente.
Perché puoi scopiazzare temi in televisione, chiamare i giornalisti sul posto per scroccare numeri e fare audience con servizi interrotti a metà (per far vedere cose che spesso sono artefatte e realtà non è), ma quando sei un cronista di strada e ci metti la faccia e il cuore, prendendo magari anche insulti perché il lettore non capirà mai cosa ti viene richiesto con assillo e che non sempre fai come vorresti, è un'altra cosa.
Le stesse persone io le sento da 20 anni. È come se fossero parte della nostra esistenza. Nel bene e nel male. Potrei scrivervi ore di aneddoti. Ora il dolore sta proseguendo, anche se da meno scalpore, perché all'emergenza sanitaria si è aggiunta quella economica.
Vedremo vetrine e locali e aziende abbandonate a lungo. Tanti sono già indebitati e nonostante i sacrifici pregressi per rimanere aperti, in uno stato di diritto democratico che di diritti e vita in realtà te ne lascia pochi, gettano la spugna.
Soltanto che non hanno da dare da mangiare ai propri bambini o non potranno più pagare mutuo e affitto. Trovandosi, di fatto, senza casa. C'è un disastro in ogni settore. Senza contare le difficoltà logistiche che seguiranno, dai trasporti al resto. Si aggiungono le file interminabili di nuovi poveri. Ma questi siamo noi. Sono i precari a vita. Gente della porta accanto.
E ovviamente, quando arriva la cambiale, la banca se ne frega di sapere che c'è stata la pandemia. Mi viene da pensare che buona parte della tragicità e dell'incapacità di governare questo mostro invisibile sia frutto di scelte politiche, di qualsiasi colore, pregresse. È stato dimostrato, purtroppo sulla pelle della gente, che in Italia sono stati disintegrati il sistema sanitario pubblico (a favore del privato, che oggi poi serve poco o niente per il Covid, perché non gli viene consentito molto e spesso lucra) e il mondo del lavoro.
Se si fosse ragionato diversamente evidentemente avremmo avuto più spazi e risorse sanitarie per tutti e meno nuovi poveri in fila davanti al sito dell'INPS o dei comuni.
Invece ci si fa belli ovunque dicendo come si è corsi ai ripari. Ma forse sarebbe stato meglio prevenire. Mi chiedo chi pagherà tutti questi pseudo aiuti che si spera arrivino alle persone. La risposta è 'ancora noi'. Nelle tasse. E si salvi chi può.
Sperando di mantenere pensioni e lavoro. Perché non è escluso qualche pazzo piano futuro per recuperare i soldi 'erogati'.
Insomma amici di Facebook, se non ci credete o siete annoiati, fate una cosa comunque: continuate a proteggerci. E se certe direttive sembreranno strambe, pensate che qualcuno ha cercato di trovare rimedio a qualcosa di grave che purtroppo oggi soluzioni non ha. E se l'unica arma che abbiamo per non uccidere è ucciderci è usare mascherine o rimandare gli abbracci, proviamo a usare la fantasia e superare tutto con più spirito. Farà davvero bene al mondo. Coraggio".
Paola Roberta Arensi
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