Acquistavano e consumavano droga prima di assistere alle partite dell’Atalanta, poi si incappucciavano per compiere azioni violente anche contro la Polizia.
Gli stupefacenti venivano venduti da un gruppo di ultras che li smerciavano ai loro compagni di scorribande nei pressi dello stadio o direttamente sugli spalti.
Al termine dell’indagine denominata “Mai una gioia”, iniziata nel 2015, gli agenti della Squadra mobile di Bergamo, insieme a quelli del Servizio centrale operativo della Polizia di Stato, hanno arrestato 18 persone, undici delle quali sono finite in carcere e sette ai domiciliari.
Si tratta in prevalenza ultras neroazzurri, accusati, a vario titolo, di traffico e spaccio di sostanze stupefacenti, estorsione, rapina e resistenza a pubblico ufficiale.
Sono inoltre 14 le persone indagate in stato di libertà nei confronti delle quali sono state eseguite perquisizioni domiciliari.
Notificati anche 30 avvisi di avvio del procedimento per l’emissione del Daspo (Divieto di accedere alle manifestazioni sportive) e 10 provvedimenti di sospensione della licenza nei confronti di altrettanti gestori di esercizi commerciali di Bergamo coinvolti negli episodi di spaccio.
L’attività investigativa, che ha fatto luce sull’attività di spaccio svolta da alcuni ultras nei confronti di altri sostenitori dell’Atalanta, è stata documentata da intercettazioni telefoniche e ambientali nonché dalle numerose immagini registrate da microtelecamere piazzate dai poliziotti, che hanno immortalato gli indagati mentre vendevano e consumavano le sostanze stupefacenti. Oltre che sugli spalti la droga veniva venduta anche all’interno di alcuni locali nei pressi dello stadio.
Tali circostanze sono state accertate anche prima dei tafferugli avvenuti a Bergamo nel gennaio 2016, dopo la partita contro l’Inter.
L’indagine ha documentato pure una violenta rapina ai danni di un corriere della droga e diverse estorsioni nei confronti di alcuni tossicodipendenti che non avevano pagato le dosi acquistate.
Il nome dell’operazione “Mai una gioia”, deriva dalla frase che ricorreva spesso durante le conversazioni degli indagati, e con la quale avevano anche realizzato uno striscione che esponevano allo stadio durante le partite.
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