Oltre a rendere giusto merito all’impegno e alle capacità dei 57 Comuni lodigiani e pavesi che avevano sollevato il caso, la recente sentenza con cui il Consiglio di Stato ha confermato la bocciatura (già in precedenza sancita dal Tar) nei confronti della delibera regionale con cui nel 2017 i limiti di concentrazione degli idrocarburi nei fanghi da depurazione utilizzati in agricoltura erano stati aumentati in modo abnorme, contiene un forte richiamo al rispetto del ruolo degli enti locali e delle comunità territoriali di cui la Regione deve ora tenere conto in modo concreto.
La sentenza afferma infatti in modo chiaro che quando si tratta di prendere scelte che interessano il territorio la Regione non può evitare di coinvolgere i Comuni, mettendoli nelle condizioni di formulare osservazioni e di fornire un proprio contributo alla definizione dei provvedimenti.
Si tratta di un principio fondamentale, troppe volte trascurato e ignorato dalla Regione, non solo in materia di ambiente. La battaglia promossa dai Comuni contro l’aumento della concentrazione di sostanze pericolose nei fanghi utilizzati in agricoltura (che nel Lodigiano ha coinvolto 26 amministrazioni, con l’efficace e appassionato ruolo di coordinamento svolto dall’ex Sindaco di Lodi Vecchio, Alberto Vitale), rappresenta perciò una “pietra miliare” nei rapporti tra la Regione e gli enti locali e deve dettare una autentica svolta nelle modalità con cui la giunta regionale gestisce i processi decisionali su questioni e argomenti che hanno un impatto diretto e profondo sulla vita delle nostre comunità.
Nella vicenda specifica, la Regione non è stata solo superficiale ed affrettata (definendo nuovi limiti di concentrazione senza un “adeguato impianto istruttorio di carattere tecnico-scientifico atto a dimostrare che i suoli lombardi, a seguito dello spargimento dei fanghi con i nuovi valori ammessi, avrebbero presentato un tasso di concentrazione di idrocarburi e fenoli con ogni ragionevolezza più basso di quello massimo previsto dal Codice Ambiente”), ma ha anche impedito la partecipazione dei Comuni, “istituzionalmente portatori degli interessi pubblici locali inevitabilmente coinvolti”.
L’immagine che ne scaturisce è quella di una Regione distante dalle comunità territoriali, sorda alle richieste degli enti locali e disinteressata agli effetti che le sue decisioni producono sulla vita dei cittadini. Questa sentenza è un ammonimento forte e preciso, che la Regione non deve limitarsi ad “incassare”, ma di cui deve fare lezione.
La sentenza del Consiglio di Stato segna tuttavia solo una tappa nel percorso che deve portare a stabilire nuove e più efficaci regole per disciplinare l’utilizzo in agricoltura dei fanghi di depurazione. Il tema del contenuto di talune sostanze nei fanghi deve essere ripreso in mano a livello normativo, per individuare vincoli più stringenti a tutela della salute dei cittadini e dell’ambiente, che devono prevalere su qualsiasi altro interesse.
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